Tradizione e gastronomia
Col dilagare della produzione industriale abbiamo assistito all’estinzione di molti mestieri e alla riconversione delle relative botteghe in ambienti commerciali, specialmente di ristorazione. La loro originaria conduzione, con la relativa produttività che interessava direttamente la sussistenza quotidiana del gestore e della sua famiglia, erano concentrate nella figura de lu mesciu, il mastro o maestro; il motore trainante era alimentato dalla sua esperienza e dal suo talento.
Accanto alle attività manuali scomparse come l’arrotino, lu mmulaforbici, l’impagliasedie, mpagghiasegge, l’acconcia catini, lu cconzalimbi, il venditore di carboni, lu craunaru e via dicendo, bisogna annoverare i venditori ambulanti, figure caratteristiche da considerare come parte attiva della vita cittadina, in termini economi-sociali. Svolgendo importantissime attività di prima necessità, ciascuna di esse manifestava un’ingegnosità e adattabilità al lavoro che consentiva di sopravvivere e, magari, di ignorare cosa fosse il degrado fisico e mentale nelle forme che si intendono oggi.
Sia le botteghe sia i venditori ambulanti adoperavano un palcoscenico che nel volgere di qualche decennio ha cambiato completamente volto; mi riferisco alla strada del centro storico, in questo caso di Lecce, dalla caratteristica connotazione urbanistica in cui il modulo abitativo, un condominio in “orizzontale”, autonomo dal resto della città, consentiva che tutti sapessero di tutto, il mutuo soccorso era il comune denominatore e una sorta di filo univa gli inquilini con la stessa sorte, la stessa attività, la precarietà, le aspettative, i sentimenti che, superata la soglia di casa, diventavano di dominio pubblico, spesso fonte di pettegolezzi. Oggi è venuto meno il rapporto confidenziale che si instaurava tra artigiano-ambulante e acquirente col risultato non vi sono più quelle battute argute e salaci tra le parti né vi è un qualsiasi scambio di opinioni perché al supermercato è tutto selezionato e imbustato.
Appurato che i giovani non conoscono gli aspetti della vita del passato, ed è giusto che li conoscano, con questo libretto rispolvero le figure sopracitate e, chiarisco, che non è una rievocazione sentimentale né esaltazione retorica e nemmeno idealizzazione, ma è un’opportunità per recuperare mentalmente una straordinaria laboriosità e per rivalutarla come patrimonio culturale.
Laddove è possibile riemerge il lessico popolare gergale, gli attrezzi, gli abiti da lavoro, le grida, le insegne: elementi identificativi dell’attività lavorativa. Ricordo, per esempio, che i carrettieri o i carbonai si distinguevano per il fazzoletto annodato al collo.
Per dimostrare la concatenazione esistente tra l’argomento e la letteratura folklorica si rispolverano poesie, proverbi, aneddoti, note giornalistiche, intrisi di metafora e, spesso, di vivida arguzia.
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